Questo sito utilizza cookie (tecnici), per gestire e migliorare la tua esperienza di navigazione online . Puoi modificare le tue scelte in ogni momento.
Fresco degli anni di scuola e dentro la stagione delle intense passioni politiche, ho cominciato a lavorare in un cantiere della nostra provincia per conto di una grande impresa nazionale di costruzioni. All’approssimarsi del 25 aprile, ci si predisponeva alla chiusura del cantiere per la Festa della Liberazione.
Operai e tecnici provenienti da altre regioni italiane pregustavano la giornata e si organizzavano per passarla piacevolmente assieme.
A me spettava il compito di organizzare la fermata di un particolare settore, quello della costruzione dei muri in pietra. Lì ci lavoravano operai locali sudtirolesi, un’attività molto faticosa, affrontata con particolare perizia e grande impegno da queste persone. All’annuncio della prossima chiusura festiva del cantiere, ci fu – per me inaspettatamente – un unanime rifiuto: loro non conoscevano, né riconoscevano questa festa e quindi avrebbero regolarmente lavorato. A nulla sono servite le mie insistenze, compreso l’argomento che la Festa era pagata. “Allora pagatecela doppia, noi comunque veniamo in cantiere”. Un vero e proprio sciopero alla rovescia.
Facevo i conti – come da allora molte altre volte – con la Storia NON condivisa della nostra provincia. Così il 25 aprile, figurarsi l’anniverario della Vittoria il 4 novembre (Festa fissa fino al 1977).
Diverse memorie, diverse biografie collettive e individuali, un diverso vissuto familiare delle vicende (tragiche) dell’ultimo secolo.
Esserne consapevoli non vuol dire però rinunciare a riproporre il 25 aprile come Festa della Libertà riconquistata. Per tutti. Per tutti gli altoatesini, i sudtirolesi e i nuovi concittadini.
(www.albertostenico.it)
Scrivi un tuo commento