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Le parole sono come pietre e vanno usate con molta attenzione. Mi è capitato di pensarlo in questi giorni quando, di fronte al fenomeno delle scuole parentali in provincia di Bolzano, qualcuno le ha inopportunamente collegate alle “Katakombenschulen” (Le scuole nelle catacombe), auto-organizzate dalla popolazione sudtirolese per poter continuare ad insegnare ai bambini in lingua tedesca, dopo il divieto imposto dal Fascismo in Alto Adige e nelle altre aree con minoranze linguistiche. La repressione del Regime verso gli insegnanti fu allora durissima con centinaia di condanne, molte al confino. In un caso, quello della maestra Angela Nikoletti, il carcere e tutte le altre angherie ne provocarono la morte in giovane età. Che relazione c’è tra quella tragica realtà storica e le pur criticabili iniziative di un gruppo di no vax in queste settimane. Katakombenschulen non è una parola fuori contesto e poco rispettosa per chi quell’esperienza l’ha veramente sofferta?
Si ripete anche con superficialità la definizione di “regime di Apartheid” per certe diverse forme di compresenza delle culture italiana, tedesca e ladina in provincia di Bolzano. Chi usa questo termine sa veramente cos’ha comportato l’Apartheid introdotto in Sudafrica negli anni ’60 e quante sofferenze e migliaia di morti esso ha provocato? Non esiste nessun parallelo né storico, né politico per giustificare l’uso di questa parola offensiva verso le tante vittime di quel regime, condannato dall’Onu per Crimini contro l’Umanità.
Valutiamo, critichiamo, discutiamo dei nostri problemi di oggi, riconosciamone la natura, cerchiamo anche, però, il linguaggio giusto e corretto per comunicare.
Pregasi, aggiornare il vocabolario.
(www.albertostenico.it
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