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Delle circa 3.000 persone morte finora in Italia per le conseguenze del Coronavirus, la gran parte sono anziani. Anziani sì, ma con un “quadro clinico compromesso” si affrettano a precisare i giornalisti nel dare queste notizie. Come dire, “morire dovevano comunque” e la cosa, quindi, non riguarda più di tanto i giovani. Quasi ad esorcizzare la gravità della situazione in rapporto alle presunte minori minacce per tutti noi, “altri”.
Con questa considerazione è trascorsa la prima fase della pandemia del Coronavirus, durante la quale si sono sviluppati anticorpi psicologici contro la minaccia di coinvolgimento dei più giovani in questa tragedia epocale. Se ne sta andando prima del tempo e nel peggiore dei modi, una parte di una generazione del tutto straordinaria. Gli ottantenni di oggi sono nati negli anni ’30 e’40, durante la seconda guerra mondiale. Ne hanno vissuto in parte il dramma, ma quello che conta per noi, hanno partecipato alla ricostruzione post bellica realizzando, con enormi sacrifici, il benessere di cui godiamo noi oggi. Hanno rifondato una democrazia ed una vita sociale e politica che, pur con i suoi difetti, è stata alla base di un lungo periodo di pace ed eque relazioni sociali. Per qualcuno di loro, indebolito dalle malattie “dell’età”, la diagnosi del Coronavirus è di fatto un annuncio di morte. Morte fisica, ma anche morte civile e dei sentimenti. Coronavirus significa per loro la negazione di ogni ulteriore contatto con i propri cari, una morte in solitudine in una stanza d’ospedale, la rinuncia al conforto religioso. E dopo, una sepoltura senza la dignità di un vero funerale e di una cerimonia funebre. Così se ne sta andando parte della generazione che ha portato sulle spalle le nuove generazioni. E’una tragedia immensa, umana e spirituale.
E’ vero, per il momento il Virus si sta portando via più che altro gli anziani malati. Ma se non reagiamo al cinismo e al fatalismo dilagante, il virus rischia di portarsi via anche la nostra dignità. A morire non sono numeri, ma sono persone con nome e cognome, con un volto, con una intensa storia di vita. Ognuno di loro potrebbe e dovrebbe essere un singolo libro conservato nella biblioteca dell’umanità.
Solo se comprenderemo questo, se la smetteremo di minimizzare la morte di persone “con quadro clinico compromesso”, se sapremo esprimere il massimo rispetto anche e soprattutto per loro, solo così avremo saputo sconfiggere anche i germi di quel cinismo che uccide due volte gli anziani.
(www.albertostenico.it)
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