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Succede che genitori e nonni per amore verso i giovani risparmino volutamente la narrazione del passato, o meglio di un certo passato. Lo fanno anche per non trasferire ansietà, insicurezze e sensi di colpa. Ritengono, comprensibilmente, che il silenzio o la rimozione siano le migliori medicine per rendere più leggero il futuro delle nuove generazioni, oltre che la propria coscienza. E’ un comportamento comprensibile, ma ha il difetto che tutti conosciamo e cioè che prima o poi questi vuoti di memoria vengono riportati a galla e non sempre nel modo migliore.
E’ quindi giusto che i giovani siano curiosi, non si accontentino e pretendano di sapere. Rinuncino alla protezione messa in atto dagli adulti, ma provochino anche negli adulti un riesame critico di aspetti della loro vita. Non è bello, non è facile, ma è la strada per ri-costruire una memoria utile a se stessi ed agli altri e in molti casi per ripristinare la verità. Se tutto questo vale per le nostre vite private, è valido anche per le memorie collettive, tanto più se caratterizzate da eventi dolorosi e tragici come le guerre o le dittature. Andare avanti senza voltarsi indietro, è l’atteggiamento che si adotta per cercare di vivere meglio. La memoria diventa poi comunque selettiva e ci riconduce ai torti subiti, meno quelli perpetrati. Tutto ciò vale anche per la memoria collettiva di un popolo, che poi è quella che tende a trasmettersi di generazione in generazione. In questo modo si consolidano arbitrariamente i torti e le ragioni riducendo ancor più la propensione all’autocritica ed alla “Vergangenheitsbewältigung” (la riflessione critica sul proprio passato), un processo, questo sì, che dovrebbe essere offerto alle nuove generazioni. L’elenco delle ragioni (nostre) e dei torti (degli altri) non è un buon viatico per costruire un futuro migliore.
I silenzi collettivi rassicuranti sono ancora molti anche nella nostra provincia ed all’interno dei suoi diversi gruppi linguistici: i Sudtirolesi non parlano volentieri del periodo dell’occupazione nazista dal 1943 al 1945, mentre richiamano con più intensità il periodo del ventennio della dittatura fascista (italiana) dal 1922 in avanti con i suoi soprusi. Gli altoatesini di lingua italiana, al contrario, hanno ben impresse nella mente le violenze e le atrocità della occupazione (tedesca) dopo l’8 settembre 1943, ma sfumano molto le percezioni su quanto è successo nel ventennio alla popolazione sudtirolese.
Due memorie diverse e parallele che rischiano di perpetuarsi nel tempo, ed essere rinnovata origine di incomprensioni anche nel presente della nostra vita collettiva in provincia di Bolzano.
Lo sforzo vicendevole da parte di tutti noi di riconoscere i torti (propri) e le ragioni (degli altri), è la base indispensabile per migliorare la convivenza etnica nel nostro territorio.
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